ISTRIA, FIUME, DALMAZIA, VENEZIA GIULIA                         


IL SALVATAGGIO DEGLI ARCHIVI DELLA DALMAZIA (1943-1944)
Elio Lodolini
 
 
    Nel breve periodo (1941 - 1943) in cui una parte della Dalmazia - le provincie di Cattaro e di Spalato, oltre ad un ampliamento della preesistente provincia di Zara - fu riunita all'Italia, uno dei problemi che si posero all'Amministrazione italiana fu quello della ricognizione e della salvaguardia dell'antico e prezioso materiale archivistico dalmato (1). Gli archivi costituiscono difatti la “memoria storica” di un popolo, e tanto più interessanti erano (e sono) quelli della Dalmazia, nei quali ogni parola - a cominciare dalla lingua dei documenti, tutti in latino o in italiano - attesta l'italianità di quella regione, anche anteriormente alla dominazione di Venezia.
    La documentazione più ricca si trovava a Zara, ove era ben conservata nel “Regio Archivio di Stato”, istituito con R.D. 6 dicembre 1928, n. 2981, e che traeva la propria lontana origine dall'“Archivio generalizio” creato con “terminazione” del 20 settembre 1624 del Provveditore veneto Francesco Molin. L'Archivio di Stato di Zara comprendeva documentazione dal 908, cioè risalente indietro di oltre mille anni.
    Un discorso a parte meriterebbe il ricchissimo archivio della gloriosa Repubblica marinara italiana di Ragusa (che la nostra televisione si ostina vergognosamente a chiamare Dubrovnik), la quale, pur se presidiata da truppe italiane, rimase in quegli anni fuori dal territorio riunito all'Italia.
    L'Amministrazione archivistica italiana, allora inserita nel Ministero dell'Interno (dal 1975, invece, gli Archivi fanno parte del Ministero per i Beni culturali), inviò in Dalmazia, alla fine del 1942, un proprio funzionario, il prof. Giorgio Cencetti, “Direttore di seconda classe” (gruppo A, grado VIII, equiparato a maggiore dell'Esercito, secondo l'ottimo e rimpianto “Ordinamento gerarchico” delle Amministrazioni dello Stato, rimasto in vigore dal 1923 al 1957), in servizio presso l'Archivio di Stato di Bologna, libero docente e professore incaricato di Paleografia e diplomatica nell'Università di Bologna e nella Scuola di quell'Archivio di Stato. Fu più tardi inviato a coadiuvarlo un altro funzionario, il “Primo Archivista di Stato” (gruppo A, grado IX, equiparato a capitano) dott. Giovanni Cabizza.
    Cencetti aveva il compito di effettuare il censimento degli archivi della Dalmazia e di organizzarvi il servizio archivistico. Nel giro di pochi mesi accertò l'esistenza di una ricca documentazione in molte città maggiori e minori, comprese alcune poste al di fuori delle tre provincie italiane della Dalmazia, nel territorio assegnato allo “Stato indipendente di Croazia”, allora sorto sulle ceneri della dissolta Jugoslavia ed oggi rinato dopo la seconda dissoluzione di quella creazione artificiosa. Cencetti propose la sollecita istituzione degli Archivi di Stato di Cattaro e di Spalato e di una “Sezione”, a Sebenico, dell'Archivio di Stato di Zara. Propose inoltre l'istituzione di una Soprintendenza archivistica per la Dalmazia, con sede in Zara. Le Soprintendenze avevano, ed hanno, il compito di esercitare la vigilanza dello Stato sugli archivi non statali.
    Sin qui quello che possiamo definire l'antefatto. Ma purtroppo le sorti della guerra volgevano sfavorevolmente per l'Italia, e l'Amministrazione archivistica si dovette vieppiù preoccupare della salvezza delle testimonianze della nostra storia e della nostra civiltà.
    Il 20 luglio 1943 partì dall'Ufficio Telegrafo e Cifra del Ministero dell'Interno un telegramma indirizzato al Direttore del’Archivio di Stato di Zara e per conoscenza al Governatore della Dalmazia, così concepito: “Predisponete urgenza imballaggio materiale pregevole et importanza storicopolitico codesto Archivio di Stato per trasferimento località indicata verbalmente prof. Cencetti”, che era Venezia. Le parole qui poste in corsivo erano cifrate.
    Lo sfollamento di archivi e di altri beni culturali era in quegli anni un fatto frequente: per esempio, i fondi più importanti del’Archivio di Stato di Roma erano stati trasferiti in Umbria, ad Orvieto.
    Cencetti e Cabizza nell'agosto 1943 prepararono il materiale archivistico da trasferire, e non solo quello dell'Archivio di Stato di Zara, ma anche una parte di quello di altre città dalmate, con particolare riguardo alla documentazione più antica, di età preveneta e veneta: impresa non facile in quel momento, in cui riusciva difficile trovare persino il materiale da imballaggio e soprattutto un mezzo di trasporto.
    Questo fu finalmente reperito nel motoveliero “Laura”, di 120 tonnellate, che avrebbe dovuto procedere con navigazione di cabotaggio soltanto diurna e giungere a Venezia in quattro giorni.
    Il “Laura”, con 149 casse di documenti, salpò da Zara a mezzogiorno dell'8 settembre 1943, poche ore prima dell'annuncio dell'armistizio, e scomparve: per molti mesi non se ne ebbero notizie sicure. Finalmente, fra il febbraio e l'aprile 1944, si poté accertare che il capitano del “Laura”, giunto a Cherso, sua residenza, vi si era fermato e dai partigiani locali era stato nominato comandante del porto, e che le casse con il materiale archivistico erano state sbarcate ed ammucchiate alla meno peggio in un magazzino portuale, esposte ad ogni rischio.
    Si dovettero riprendere le fila, e l'Amministrazione archivistica della Repubblica Sociale Italiana (il Ministero dell'interno si era trasferito a Mompiano, presso Brescia) incaricò nuovamente Cencetti della bisogna. Questa era particolarmente ardua, in quanto l'isola di Cherso era stata occupata prima dai partigiani (12 settembre 1943), poi dai tedeschi (13 novembre 1943), che l'avevano inclusa nella zona di operazioni del “Litorale adriatico” (2). Alto Commissario del “Litorale” era il Gauleiter della Carinzia, Rainer, il quale sotto il pretesto delle necessità belliche interferiva pesantemente nel’amministrazione civile delle autorità della R.S.I Con lui i Prefetti di Trieste, Pola (nella cui provincia era compresa Cherso) e Fiume si scontrarono frequentemente.
    L'Amministrazione degli Archivi italiani chiese ed ottenne l'appoggio di uno speciale ufficio tedesco, il “Kunstschutz”, che si occupava della protezione degli archivi, delle biblioteche e delle opere d'arte minacciate dalla guerra, ed in particolare del capo di esso, il dr. Fritz Weigle, già membro del’Istituto storico germanico di Roma ed allora in servizio come interprete presso l'Ufficio Centrale delle SS in Italia, a Verona.
    Nonostante le difficoltà delle comunicazioni, Cencetti il 5 giugno da Bologna raggiunse il Ministero dell’Interno a Brescia; il 6 era a Verona ove si incontrò con Weigle, il 7 a Venezia, il 9 a Fiume. Qui ebbe la fortuna di trovare una motobarca di Cherso che rientrava nell'isola, con la quale all'alba dell'11 giugno poté finalmente raggiungere i documenti.
    Come scrisse lo stesso Cencetti, il trasporto via mare da Cherso a Venezia era “difficile e sconsigliabile” e la ferrovia Pola-Trieste era interrotta. Non rimaneva quindi che il trasporto via mare da Cherso a Fiume e poi con la ferrovia ancora funzionante a Venezia. Per il tragitto marittimo Cherso-Fiume venne requisita la stessa motobarca che aveva effettuato il percorso Fiume-Cherso. Più difficile fu ottenere, in quel frangente, un vagone ferroviario.
    Anche queste ultime difficoltà furono tuttavia superate ed il vagone ferroviario numero 173029, con le 149 casse di documenti, partì da Fiume un mese più tardi, il 14 luglio, e giunse a Venezia, con un viaggio durato sette giorni per coprire una distanza di circa duecento chilometri, il 21 luglio 1944, dieci mesi e tredici giorni dopo la partenza dei documenti da Zara.
    A Venezia gli archivi dalmati furono ricoverati nell'Archivio di Stato, che conserva le carte della Serenissima, e qui rimasero sino a quando, per una clausola del “Trattato di pace” - il diktat imposto all’Italia nel 1947 - dovettero essere consegnati alla Jugoslavia.
    Sembrerebbe quindi che sia stata del tutto inutile l'opera dell'Amministrazione archivistica italiana, di Giorgio Cencetti e di quanti collaborarono con lui, attraverso difficoltà e pericoli che chi ha vissuto quel periodo può ben immaginare. Ma non è così, tutt'altro. Basti ricordare i successivi numerosi e massicci bombardamenti dell'aviazione angloamericana su Zara, praticamente priva di obiettivi militari, chiesti dai partigiani jugoslavi per distruggere l'impronta italiana della città, e le distruzioni di libri ed archivi italiani rimasti a Zara, incendiati sulle pubbliche piazze dagli jugoslavi subito dopo l'ingresso dei partigiani nella città, nella quale il tricolore italiano fu ammainato per l'ultima volta il 31 ottobre 1944 (3).
    La consegna degli archivi dalmati alla Jugoslavia avvenne, alcuni anni dopo la fine della guerra, con elenchi, inventari, verbali di consegna, ad opera di una Commissione bilaterale di cui fece parte anche Giorgio Cencetti (4). L'esistenza di quegli archivi fu sanzionata ufficialmente da rapporti internazionali, si che la distruzione di essi da parte jugoslava fu resa impossibile. Da una guida degli archivi della Croazia, pubblicata nel 1984 (5), risulta l’esistenza del materiale documentario già trasferito a Venezia, con una consistenza simile a quella prebellica.
    Che la Dalmazia sia stata ininterrottamente per secoli terra italiana risulta, al di là di ogni affermazione di parte, come abbiamo già detto, da quegli archivi. La già citata guida croata dell'“Historijski Arhiv, Zadar” (questa la denominazione dell'ex Archivio di Stato), pubblicata in pieno regime comunista, è costretta ad indicare le denominazioni dei singoli fondi archivistici, oltre che con la traduzione croata, con il nome originale che è latino o italiano per l'epoca preveneta e per quella veneta, italiano per l'età della prima dominazione austriaca (1797-1806), italiano per il periodo napoleonico, in cui la Dalmazia fece parte del Regno d'Italia con capitale Milano (1806-1809), poi delle “Provincie Illiriche” (1809-1814), italiano o più raramente tedesco per la seconda dominazione austriaca (1814-1918) - ma talvolta vi è la sola traduzione in croato -, nonostante l'opera di snazionalizzazione condotta dall'Austria in senso antitaliano e filocroato, atteso l'atteggiamento irrendentista dei dalmati e la fedeltà all'Austria, invece, dei croati.
    I recenti avvenimenti nella ex Jugoslavia fanno nuovamente temere per la sorte degli archivi dalmati di cui abbiamo detto sopra e per quello della Repubblica di Ragusa, che aveva superato indenne le vicende della seconda Guerra mondiale (6). Anche per questo motivo abbiamo voluto qui richiamare l'attenzione su quegli archivi.
 
 
    NOTE
 
    (1) Sul tema qui brevemente trattato può vedersi il più ampio studio dello stesso autore: Elio Lodolini, Gli Archivi della Dalmazia durante la seconda Guerra mondiale e l'opera di Giorgio Cencetti, Roma 1987, pp. 128. Il volume costituisce un fascicolo della “Rivista dalmatica”, a. LVIII, n. 4, ottobre-dicembre 1987, pp. 239-366. Ad esso rinviamo anche per l'indicazione della segnatura archivistica dei documenti qui richiamati.
    (2) Nel gennaio 1945 vi si trasferì da Ravenna la Compagnia “Adriatica” della Decima Flottiglia Mas, che nel maggio 1945, attaccata da preponderanti forze jugoslave, si sacrificò quasi totalmente a difesa dell’isola. Cfr. Sergio Nesi, Decima Flottiglia nostra... I mezzi d'assalto della Marina Italiana al sud e al nord dopo l'armistizio, Milano, Mursia, p.135.
    (3) “...Alcune pattuglie slave, senza colpo ferire, entrano nella città distrutta. Il tricolore viene ammainato e sui pochi edifici rimasti si inalberano stelle e bandiere rosse. Con i libri italiani e gli archivi si accendono roghi nelle piazze sconvolte. Ci si affanna subito a cancellare tutto ciò che è italiano. Centinaia di cittadini vengono arrestati, deportati, massacrati. Altri vengono arruolati a forza o adibiti ai più duri lavori”: Zara nel cinquantenario della redenzione, 4 novembre 1918-1968, a cura del Libero Comune di Zara in esilio, seconda ed. Ancona, 1969, p. 57. L'ultimo Prefetto di Zara italiana, Vincenzo Serrentino (R.S.I.), in carica dal 1° novembre 1943 alla fine di ottobre 1944, prodigatosi nell'alleviare i disagi della popolazione, fu fucilato dagli jugoslavi a Sebenico due anni dopo la fine della guerra, il 15 maggio 1947. Nel quarantesimo anniversario dell'uccisione è stato commemorato dal Comune natale, Rosolini (Siracusa), che gli ha intitolato una via cittadina.
     (4) Dopo la guerra Cencetti divenne Direttore dell'Archivio di Stato di Bologna e della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica ad esso annessa; nel 1951 vinse il concorso a cattedra universitaria e lasciò gli Archivi. Titolare di Paleografia e diplomatica nell'Università di Bologna, nel 1958 passò all’Università di Roma e nel 1966 vi divenne altresì Preside della Scuola speciale (= Facoltà) per Archivisti e Bibliotecari. Morì nel 1970.
    (5) Savez arhivskih radnika Jugoslavije. Arhivski fondovi i zbirke u arhivima i arhivskim odjelima u SFRJ, volume SR Hrvatska, Beograd, 1984. Si tratta di un grosso volume di 951 pagine, in cui all'Archivio di Zara sono dedicate le pagine 319-342.
    (6) Lucio Lume, L'Archivio storico di Dubrovnik. Con repertorio di documenti sulle relazioni della Repubblica di Ragusa con le città marchigiane, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali, 1977 (“Quaderni della “Rassegna degli Archivi di Stato”, vol. 46).
 
    N.B.- Per doverosa precisazione debbo segnalare che a Cherso sin dal dicembre 1943, si era costituita la Cp. volontari italiani “Tramontana” (Ten. Stefano De Petris) dipendente del 2° Rgt. MDT “Istria” (Ten. Col. Libero Sauro) che difese fino alla sua completa distruzione l'italianità del Quarnaro nell'aprile 1945. A Lussingrande era attiva anche la batteria costiera di Monte Asino servita da marinai italiani. La Cp. “Adriatica” della Xa (T.V. Giannelli) fu l'ultimo reparto italiano giunto a rinforzare il presidio di Cherso. Nino Arena
 
 
STORIA VERITA' N. 8 Settembre-Ottobre-Novembre 1992 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)                                   

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